Quello che mi fa stare bene

Vorrei creare “una casa”, ovvero un luogo dove sviluppare un mio ambiente da condividere con il mondo.

Mi affascina l’idea di imparare e sviluppare l’assertività e provare a diffonderla di più in quanto strumento importante (o addirittura fondamentale) di porsi e di comunicare.

Evitare di aggredire e di far sentire aggredito l’altro. Nelle scuole e nei luoghi di lavoro non ci insegnano a comunicare in modo rispettoso di noi stessi e degli altri. Credo sia molto importante lavorare sul rispetto reciproco “io sono ok e tu sei ok”. Sul rispetto di idee, sul cercare di venirsi incontro. Vivere la diversità nel modo più costruttivo possibile!

Mi piace l’idea di potermi direzionare dal virtuale a qualcosa di più reale che potrebbe essere più difficile e impegnativo da realizzare ritrovandosi nello spazio e nel tempo e nell’iter burocratico “ben sviluppato” in diversi anni. Le soddisfazioni sarebbero diverse rispetto alla semplice creazione di una pagina web o di una call (chiamata / conferenza virtuale). C’è il bisogno di riscoprirsi nell’antico dove gli incontri e le interazioni erano più reali e presenti, con meno distacco e meno spazio. Chiaramente devono essere interazioni costruttive, gradevoli e arricchenti e non il contrario.

Fare riscoprire le emozioni (non quelle da schermo) di poter respirare vicino, di poter toccare quel che si vede, di scoprire un calore che nella tecnologia resta solo elettrico quando c’è.

Nel sognare e nel desiderare tutto questo sento diverse paure che credo mi bloccano.

Chi sono io per fare tutto questo? Che titolo ho?
Da dove inizio? E se poi risultassi non competente o noioso?

Dovrei cercare collaborazioni? Penso di non poter fare tutto da solo!
E se poi collaborare volesse dire ritrovarmi in uno spazio casa che non è solo più mio?

Non è il possesso che voglio, ma non vorrei perdere la percezione di potermi esprimere e di poter decidere in che direzione andare. Vorrei evitare di confondermi troppo con le mille energie del mondo che sento di condividere poco; vorrei raccontare il mio, circondarmi dal mio per vedere se questo riesce a risuonare in armonia con qualcuno.

Poter decidere che finché mi sento, quel luogo mio esiste; nel momento in cui non mi sento, può in qualche modo tornare ad essere tutto come prima, anche se nulla torna mai come prima. Mi piacerebbe condividerlo ma non perderlo. Ci vorrebbe qualcuno con cui la direzione è condivisa, e se poi con il tempo questa condivisione cambiasse? (I pensieri e la mente tornano a fare paura)

Ci vorrebbe un luogo magico e non comune, il luogo può essere una parte importante del progetto. Dev’essere un luogo accogliente per me e per chi vi arriva!

Penso che oggi ci sia molto disagio soprattutto nei giovani perché non è facile un mondo tecnologico in cui intorno si sviluppa una dimensione concentrata sul controllo, sul potere e sull’economia. Manca il calore umano, il rispetto, la collaborazione, la fiducia!

Manca il desiderio di imparare qualcosa non perché ci viene imposto ed è utile, ma perché ci affascina la passione di qualcuno che viene espressa attraverso una forma d’arte.
Qualsiasi lavoro forse può essere trasformato in una forma d’arte perché quello che dà agli altri è il benessere, il vivere meglio.

Questo progetto, idea, sogno che sento di avere da anni continua ad avere paura di venire fuori: paura di concretizzarsi, di prendere forma, perché nel provare ad esprimersi potrebbe crollare, fallire, non rivelarsi funzionale e geniale come sperato.
La speranza è quella di creare maggiore benessere intorno a me; non importano grandi numeri quando penso sarebbe bello iniziare dal “poco ma buono”.

In fondo, che male c’è ad esprimere un sogno o a provare a scriverlo nero su bianco?

Ho paura di esprimere che vorrei essere il padrone di casa di questo progetto, il timore è quello di risultare squilibrato o possessivo quando in realtà l’obiettivo è quello di “raccontare la mia storia” e scoprire che, nel creare il dipinto del pittore, nel provare ad esprimere una mia presunta arte, questa possa illuminare qualcuno portando benessere.

Magari, con il tempo, un progetto del genere potrebbe salvare la vita; sarebbe bello ma mi fa ancora molta paura.

La tecnologia che dovrebbe unire ma forse divide

La tecnologia che tanto ci può affascinare, intrattenere e appassionare è forse anche in grado di portarci nella solitudine?
Incontri remoti al posto di contatti umani reali, servizi di delivery che ci permettono di non uscire, sistemi automatici per evitare casse e camerieri, ordinando così solo tramite app.

L’esperienza di vita si fa più virtuale e, forse, ci esprimiamo sempre meno all’esterno e siamo anche meno presenti, perché gli schermi ci rubano tempo e attenzioni, talvolta promettendoci intrattenimento e interazione che, però, ci portano in qualche modo da un’altra parte.

Amici che stanno insieme e che condividono il tempo ognuno con i propri schermi: la condivisione avviene mostrando all’altro ciò che compare sul proprio schermo o inviando una condivisione da un dispositivo all’altro.

Abbiamo bisogno di esperienze reali in cui stare bene nel reale, nello spazio e nel tempo che fanno parte della vita, per quanto si provi a superarlo e a ridurlo al minimo con l’utilizzo della tecnologia. Serve calore umano, condivisione, fiducia!

Anche le sedute dallo psicologo sono diventate “comodamente” fruibili senza uscire di casa; ma non sarebbe proprio parte della terapia riuscire a incontrare e a confrontarsi con una persona e un’anima in carne ed ossa piuttosto che attraverso ad uno schermo?

I tempi moderni rischiano di portarci a non sapere più cosa ci fa davvero stare bene e cosa ci causa depressione e malessere. Più ci allontaniamo dal contatto con la natura, da noi stessi e dagli altri, più si smarrisce la via della vita.

La tecnologia che dovrebbe unirci, in realtà, ci divide, crea spazi sempre più ampi da sorvolare virtualmente.

Nella nebbia: diario di un’anima in cerca di luce

Nelle scorse settimane ho passato diversi giorni in cui la vita e il tempo mi sono davvero pesati; sentivo in me malessere sia nell’anima che nel corpo.
Sono stati giorni davvero difficili in cui ti vedi tutto intorno e fatichi a trovare sollievo ma non ne trovi.
Ti manca anche l’energia per parlarne con un amico o un’anima che in quel momento non c’è, proprio perché stai male e qualsiasi cosa ti crea una sorta di visione e sensazione nera.

Il male avanza, quello che vedo e percepisco in quelle situazioni in cui si usa la violenza al posto dell’autocontrollo, del rispetto e della gentilezza.

La vita è un racconto ed un’esperienza complessa, ma, ora che ho avuto qualche giorno di tregua, ho l’impressione di sentire arrivare un nuovo peso sulle spalle.
Lo ascolto, lo osservo e cerco di capire come è arrivato e come arriverà di nuovo.

Un contesto spesso problematico è la famiglia, specie se a quasi 39 anni vivi ancora sotto lo stesso tetto.
Da una parte è una fortuna perché c’è chi vorrebbe questa fortuna ma l’ha persa; dall’altra c’è il bisogno di creare una nostra famiglia in sintonia e in linea con quello che siamo.

Sotto il concetto di famiglia si può spaziare molto: ci sono diversi tipi e tipologie di famiglie, tra cui anche quella composta dagli amici dai quali ci circondiamo.
Cosa sarebbe la vita se non ci fossero “amici” esterni all’ambiente in cui cresciamo?

Per quanto ci possiamo sforzare di essere esseri solitari, siamo fatti per socializzare; a volte proprio da questo nasce il benessere o il malessere se qualcosa non funziona.

Gli anni passano e vedo i tempi diventare sempre più duri, non solo per il normale svolgimento del tempo ma sembrerebbe anche per le difficoltà del periodo storico moderno, che sembra quasi farci vivere sempre meno.

Perché questi pensieri, perché questa pagina di diario?
L’ispirazione mi è venuta da fastidi, pesi recentemente percepiti e dal ricordarmi che, nello stare male, non sapevo più perché stavo male e cosa potesse farmi stare bene.
Quando sto male mi domando cosa mi farebbe stare meglio; credo sia importante chiederselo, poiché può essere il primo passo verso una direzione importante: quella di prenderci cura di noi in modo costruttivo.

Perché sto bene?
Perché sto male?

Cosa posso fare per stare meglio o cosa potrebbe farmi stare meglio?

Nel momento di buio rimane difficile rispondere a queste domande perché la testa è piena e confusa, come avvolta da una nebbia fastidiosa.

Ci fanno stare male pezzetti della nostra storia ma anche i contesti che abbiamo intorno.
Allo stesso modo ci fa stare bene quello che sappiamo che ci fa stare bene, ovvero quando l’abbiamo già trovato e fa parte della nostra vita.
Per poter affermare cosa ci fa stare bene dobbiamo averlo sperimentato almeno una volta.

A volte potrebbe essere che mi sento male perché sono fuori dal mio contesto, mi trovo in un mondo che non è il mio, una dimensione costruita con delle sintonie su chi sono davvero e che conta per me.

La mia estate a casa: un viaggio diverso, ma prezioso

Quest’anno, per la prima volta in 38 anni, non sono partito per la Sardegna con i miei.
Ho ascoltato il mio intuito, che mi diceva di restare, e così ho scoperto una vacanza diversa da tutte le altre: la vacanza a casa.

Non mi sono annoiato, anzi. Ho avuto tanto da fare e ho potuto dedicarmi a cose utili che, se fossi partito, avrei rimandato ancora. Mi sono regalato silenzio e tranquillità, ma anche momenti di svago: passeggiate rigeneranti, pranzi in compagnia degli zii, spazi di leggerezza che hanno dato colore alle giornate.

Sto vivendo questi 36 giorni come un tempo speciale, che si concluderà il 31 agosto. Una parentesi che mi sta insegnando a stare con me stesso, ad ascoltarmi di più, ad affrontare anche le mie paure, come quella di gestirmi il mangiare da solo.

E forse il vero viaggio non è dove vai, ma quello che impari restando.

Non sempre serve partire per scoprire nuovi mondi. A volte basta restare, e scoprire il proprio.

Una curiosità:
Anche quest’anno il falchetto presente in Sardegna lo scorso anno c’è stato.
Mio fratello è partito da solo per poi essere raggiunto dalla ragazza qualche giorno dopo. §Non sono stato l’unico a non partire anche se avevo già il biglietto. Tra noi sono stato l’unico a non partire nemmeno dopo… ma credo sia stata un’estate positiva e diversa!

Un luglio 2025 difficile

Vorrei raccontare di prati piacevolmente verdi e che non diano allergia, arricchiti da secolari alberi che offrono al mondo il loro ossigeno e la fresca ombra così preziosa in una calda giornata estiva in cui riscoprire la bellezza e l’immensità del cielo sopra la nostra testa.

Vorrei raccontare di quel ricordo d’estate in una piccola spiaggia (non so se potrebbe essere definita una piccola baia) in cui a volte capita di non trovare nessuno. Piccola e tranquilla con un alberello che fa ombra e affaccia ad un tratto di mare che accarezza le rocce. Una piccola stradina di sabbia tra di esse permette l’entrata in acqua.

Vorrei raccontare di momenti al parco sotto l’ombra e l’aria fresca degli alberi, di quando alzi gli occhi e il verde ti riempie di un’energia che i palazzi non riescono a darci.
Vorrei parlare di quanto è bello sentire arrivare la pioggia dopo un lungo periodo di secchezza e di siccità: l’acqua è vita, rinfresca e ripulisce l’aria accendendo i profumi. L’acqua che scorre sembra scacciare via le negatività e rilassare.

Mi piacerebbe raccontarvi della gioia di vedere nascere e svilupparsi un progetto che pensa a migliorare questo mondo ed in particolare l’umanità che tende a volte a perdersi in maschere, apparenze e numeri.

Mi piacerebbe tutto questo e invece resto in ascolto (e cerco di dialogare) con un luglio difficile. Ormai negli ultimi anni quando arriva il caldo lo patisco e patisco anche i volumi che si alzano nel periodo di festa, i servizi che rallentano, gli spostamenti e le pressioni di chi ci è vicino. Ogni tanto ci vuole una pausa, un momento tranquillo in cui riusciamo a sentirci rispettati (anche se dovrebbe essere così sempre).

C’è il bisogno di momenti in cui ci prendiamo i nostri spazi ed in essi ci sentiamo tranquilli e indisturbati, a nostro agio ed in ascolto ed espressione di noi stessi.

Sul telefono, per TV, intorno a me sento notizie sempre più catastrofiche e, nelle regole sociali, vedo diminuire sempre di più la libertà e il potere (non solo economico) delle persone. Il male cerca di togliere potere, di spaventare e di aumentare gradatamente il disagio per poi agire quando si è tutti più deboli.
Finché c’è vita ci sarà il bene da qualche parte e, finché c’è vita il male non avrà vinto. In tutta questa difficoltà cerco di guardarmi e di ascoltarmi dentro e di trovare ancora un angolo di benessere e di comfort dove non sentirmi invaso.